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Visita in via Fondazza
Dove visse e operò Morandi

By Elisa Gagliardi | on 18 giugno 2014 | 0 Comment

Nelle tele di Giorgio Morandi il mutismo degli oggetti comunica il senso nascosto della realtà. Vasi dallo stelo affusolato, bottiglie dal collo allungato e conchiglie dalle volute sinuose, che sulle tele riversano il loro rigore geometrico, continuano a interrogare il disadorno studio di via Fondazza 36, dove, per oltre cinquant’anni, il maestro bolognese dipinse i capolavori di una vita.

Proprio oggi ricorre il cinquantesimo anniversario dalla morte del grande pittore bolognese. Per l’occasione, la casa in cui Morandi condivise un’esistenza austera e appartata con la madre e le tre sorelle dischiude gratuitamente le sue porte al pubblico, insieme alle sale Morandi del Mambo di via Don Minzoni, che raccoglie la più ampia e rilevante collezione pubblica di opere dell’artista.

Nell’angusta stanza, dalla cui finestra tante volte lo sguardo del maestro bolognese s’innalzò per incorniciare nelle sue enigmatiche vedute lo scorcio di case del cortile di via Fondazza, gli oggetti di lavoro (bottiglie, caraffe, fruttiere, vasi di fiori) sopravvivono come fedeli simulacri della via al minimalismo che l’artista bolognese elevò ad estetica universale, perseguendo la stessa spinta alla sottrazione tanto nelle gesta artistiche, quanto nel morigerato stile di vita.

Oltre al cavalletto, al banco poggia-oggetti invaso da tempere, colori e oggetti minuti, e allo sgabello sormontato da una pioggia di pennelli, Il microcosmo privato del pittore si svela nella disposizione di pochi, essenziali oggetti personali: sul comodino un assaggio delle letture predilette, con le Prose di Leopardi e i Pensieri di Pascal; accanto al letto singolo addossato alla parete, una sedia, vestita nello schienale dalla stessa giacca imbrattata di colori che il pittore, chino sul fumo di una sigaretta, indossa nello scatto di Herbert List, una delle fotografie d’autore in mostra nella casa-museo.

Sì, perché, nonostante l’aura di artista schivo e silenzioso, appartato nella complicità degli affetti familiari e nella disciplina dell’elaborazione artistica, Morandi seppe guadagnarsi l’attenzione e la stima di tanti esponenti della vita culturale a lui contemporanea, che lo omaggiarono di visite nello studio di via Fondazza e di tributi espliciti, come quello che gli dedicò Fellini, inserendo due nature morte dell’artista nel film La dolce vita.

Dei rapporti con l’avanguardia artistica, il cinema e i critici d’arte, sono testimonianza le foto conservate nella “sala delle fotografie”. Scatti ad opera di alcuni dei più grandi esponenti della fotografia del ’900 (Ghirri, Monti, Vitali, Calzolari, Berengo Gardin, Folon, Lionni, Ferrari, Masotti e Michaels), che ritraggono la figura elegante di Morandi e gli oggetti del suo atelier, introducendo alla visita diretta della sua stanza-studio con vista sul cortile.

A completare il percorso espositivo della casa-museo, acquisita dal Comune di Bologna nel 1999 e aperta alle visite del pubblico nel 2009, dopo interventi di restauro architettonico tesi a restituire l’allestimento originario degli spazi abitati dal pittore, anche una sala di lettura, attorniata dagli scaffali che ospitano i 600 volumi che componevano la biblioteca di Morandi, tra libri d’arte, cataloghi di mostre e testi letterari, e una sala polivalente, pensata per accogliere conferenze e incontri dedicati alla memoria del maestro bolognese.

Mentre fervono le iniziative dell’Istituzione Bologna Musei per omaggiare il grande pittore delle nature morte a cinquant’anni dalla morte, non si placano ancora le polemiche sulla destinazione della collezione di opere dell’artista, che la sorella Maria Teresa affidò su vincolo testamentario a palazzo d’Accursio con la volontà di farne dono alla sua città. Trasferite nel 2012 al Mambo di via don Minzoni a causa di infiltrazioni d’acqua che minacciavano le sale del palazzo comunale, le opere del museo Morandi non sembrano ancora destinate a ritornare nella sede a cui erano state affidate.

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