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L’imprenditore sotto scorta
demolisce la casa del boss

By Riccardo Rimondi | on 16 settembre 2014 | 0 Comment

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ROSARNO – Doveva essere demolita da undici anni, ma nessuno aveva il coraggio di farlo. Era rimasta abitata fino al 2011, alla faccia dei bandi pubblici indetti per trovare un imprenditore che la buttasse giù, tutti finiti in nulla. La villa abusiva della famiglia Pesce, una delle cosche più potenti della ‘ndrangheta, rimaneva in piedi, perché non si trovava un’impresa disposta a toccarla. Duecentocinquanta metri quadrati tutti su un piano, costruiti in un’area archeologica, inavvicinabili per il Comune di Rosarno che undici anni fa l’aveva acquisita al preciso scopo di distruggerla e per l’imprenditoria locale. Fino a quando non è arrivato Gaetano Saffioti, che ha deciso di assumersi il rischio.
Da diciassette anni sotto scorta per avere denunciato boss e gregari della Piana di Gioia Tauro, Saffioti si appresta ora a concludere un percorso lungo undici anni e iniziato nel 2003, quando l’allora sindaco di Rosarno, Giuseppe Lavorato, decise di acquisire la casa per demolirla. Alcune settimane dopo la decisione di Lavorato, la facciata del Comune era stata raggiunta da decine di colpi di kalashnikov. Non era abbastanza per spaventare il sindaco, che aveva continuato per la sua strada istruendo gli atti per la demolizione. Nessuno, però, approfittò dei bandi successivi per farsi avanti, e tutte le aste andarono deserte. E così la casa, beffarda, è arrivata in piedi al 2014. Fino a tre anni fa l’edificio, realizzato a metà degli anni Ottanta, era rimasto anche abitato. Era di proprietà di Giuseppa Bonarrigo, 78 anni, madre di Antonino, Vincenzo, Rocco, Savino e Giuseppe Pesce, quest’ultimo detenuto. Al suo interno si sono svolti diversi incontri, come ha confermato Giuseppina Pesce, figlia del boss Salvatore, collaboratrice di giustizia. Decisivo è stato l’intervento del prefetto di Reggio Calabria Claudio Sammartino, che insieme al Comando provinciale dei carabinieri ha accelerato l’iter contattando l’impresa di Saffioti.
L’imprenditore ha accettato immediatamente, e oggi sono iniziati i lavori. “Sono rimasto in Calabria per dare una mano allo Stato ed è quello che ho fatto oggi – ha dichiarato semplicemente Saffioti – così possiamo anche dimostrare che i testimoni di giustizia sono una risorsa e non un peso. Ormai in Calabria sono emarginato, ma sono un testardo calabrese e vado avanti”.

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