MILANO – Un salto nel vuoto che lascia sull’asfalto le vite di due giovani. I testimoni raccontano di aver udito delle grida di aiuto, poi il fragore che ha accompagnato lo schianto di una ragazza di 19 anni e un ragazzo di 20 che, la scorsa notte, a Milano, hanno trovato la morte precipitando dal settimo piano di un palazzo di via Novaro.
La ragazza è morta sul colpo, mentre il ragazzo è deceduto qualche ora più tardi all’ospedale S. Gerardo di Monza dov’era ricoverato in gravissime condizioni.
Ancora tutta da ricostruire la dinamica dell’accaduto. Gli inquirenti, cautamente, non escludono nessuna ipotesi tra quelle di duplice suicidio, omicidio-suicidio o, ancora, suicidio di lui e caduta accidentale di lei nel tentativo di impedirglielo. E’ difficile, infatti, discriminare con esattezza – spiegano in Questura – tra una caduta accidentale e un trascinamento volontario in assenza di testimoni diretti. Anche se, diversi testimoni, la cui attendibilità dev’essere ancora accertata, sono concordi nell’assegnare al ragazzo la responsabilità di aver volontariamente trascinato con sé la ragazza, con cui aveva intrattenuto una relazione sentimentale poi naufragata.
Sull’ipotesi di omicidio-suicidio, le testimonianze dei vicini appaiono concordi: “Lui l’ha trascinata giù – ha raccontato in un bar una donna che abita di fronte all’appartamento da dove sono precipitati i due giovani – quando abbiamo sentito il rumore pensavamo fosse un colpo di pistola ma la polizia lo ha escluso”. “Ho sentito delle urla di aiuto, la voce di una ragazza che gridava”, ha raccontato un’altra condomina del palazzo. E ancora un altro testimone: “Erano sul balcone, hanno litigato e lui l’ha buttata giù” – ha raccontato Samantha Di Lecce, una vicina di casa che dice di aver assistito al momento in cui sono precipitati.
E’ sulla base di tali testimonianze e del racconto di due amici che si trovavano in compagnia dei due giovani prima che avvenisse la tragedia, che la polizia ha potuto ricostruisce le ore immediatamente precedenti la morte dei due ventenni. Dopo mezzanotte, i due si trovavano nell’abitazione del ragazzo – nato in Brasile e adottato da una famiglia milanese – un appartamento a due piani dove era presente anche la madre del ragazzo. Ad un certo punto, il ventenne avrebbe chiesto ai due amici di lasciarlo solo con la ragazza per parlarle in privato. In quel frangente sarebbe poi maturato il tragico epilogo.
Da alcuni scritti trovati dalla polizia nella stanza del ragazzo emerge il suo malessere esistenziale, confermato anche da un altro tentativo di suicidio che lo aveva già visto protagonista un anno fa: come ricordano al bar sotto casa, anche in quell’occasione, il giovane aveva tentato di gettarsi dal terrazzo della sua abitazione. “Era rimasto in piedi lungo un cornicione per un’ora – ha raccontato Franco, un residente – poi un vigile lo aveva distratto e un altro lo aveva afferrato”.
“Lei lo aveva lasciato al ritorno dalle vacanze – racconta un’amica della ragazza – Forse lui ha tentato di convincerla a tornare assieme. L’unica cosa certa è che Alessandra era piena di vita, non si sarebbe mai lanciata di sua spontanea volontà”.
Ad indagini più approfondite della polizia spetta ora il compito di pacificare la memoria di due giovani che, forse, nel suicidio, hanno inseguito lo spettro di quella che è apparsa loro come l’unica forma di redenzione possibile.
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“La ragazza gridava aiuto””