CULTURA
La Bologna dell’Inquisizione, tra leggende, streghe e vampiri
di Luca Bortolotti
C’è una Bologna nascosta, tanto affascinante quanto sconosciuta. È la Bologna medievale, fatta di streghe, maghi, vampiri, leggende e superstizioni, con l’ombra del tribunale della Santa Inquisizione, che aveva una delle sue sedi principali nella chiesa di san Domenico, che aleggiava pesante sulla città e i suoi abitanti. A fare da Virgilio lungo questo viaggio è dal 1995 Ernesto Fazioli, che, con la sua associazione Bologna Magica, organizza periodiche passeggiate alla scoperta dei misteri della città.
Si scopre così che tra i suoi portici Bologna cela segreti e leggende più o meno fondate. Ad esempio, quelle dietro ai gargoyles costruiti negli angoli bui dei portici, come la diavolessa di via D’Azeglio, protettori dei viandanti in un periodo in cui camminare di notte per le strade bolognesi rappresentava un viaggio pericoloso. Forse qualcuno si sorprenderà, poi, nello scoprire che i primi spunti che ispirarono a Mary Shelley il suo “Frankenstein” arrivarono da Bologna, grazie agli studi del fisiologo felsineo Luigi Galvani. Galvani, cui è dedicata una statua nell’omonima piazza, teorizzò che gli esseri viventi possedessero un’elettricità intrinseca prodotta dal cervello, propagata tramite i nervi e immagazzinata nei muscoli. Dai suoi studi nacquero dottrine che ipotizzavano si potesse ridare vita ai morti attraverso la trasmissione di impulsi elettrici. Un esperimento che riuscì solo al dottor Victor von Frankenstein.
C’è poi la Bologna dei vampiri, chiamati anche “revenant”, coloro che tornano. Morti per morte violenta o dalle cause ignote, rimasti senza sepoltura, che si pensava potessero tornare per chiedere qualcosa. Durante i lavori alla stazione dei treni di Bologna venne rinvenuta una vecchia necropoli, le cui tombe mostravano anomalie: scheletri con chiodi nelle gambe o nel cranio, o con i piedi tagliati e ricollocati dietro la testa, corpi decapitati con la testa appoggiata tra i piedi. Un macabro rituale che serviva a impedire che gli spiriti di questi morti tornassero dopo la sepoltura. Nei diari del noto inquisitore Torquemada si narra di uno studente ospite di un palazzo di Bologna, svegliato di notte dal rumore di catene. Gli appare così un fantasma, che lo invita a seguirlo fino a una roccia in giardino, per poi svanire. Il giovane, scavando nel punto indicato dallo spettro, trova un cadavere: un uomo che non aveva avuto degna sepoltura ed era tornato per reclamarla. Revenant, appunto. Un racconto che ricorda le gesta del filosofo Atenodoro, narrate da Plinio il Giovane nel settimo libro dell’Epistularum Libri Decem.
Non mancano poi le streghe. Secondo la credenza dell’epoca, le streghe bolognesi si riunivano nei boschi del monte Paderno, sui colli,
per i loro sabba. Si racconta di donne che confessano di essere volate nei boschi, per celebrare riti e balli esoterici attorno al fuoco. In realtà, il delirio era causato dagli unguenti a base di erbe allucinogene con cui venivano cosparse dagli inquisitori. Del resto, le coltivazioni di canapa erano una delle basi dell’agricoltura felsinea, e i contadini più poveri non potevano permettersi altro cibo se non quello che producevano: i ricettari medievali bolognesi erano ricchi di piatti a base di canapa. Molte di quelle confessioni, dunque, hanno una spiegazione molto terrena. Bologna è ricca di racconti di streghe. Il 1400 racconta di Caterina, sposa insoddisfatta di un ricco lanaiolo milanese, che cercava emozioni extraconiugali, pur sapendo che l’adulterio in città era punito severamente. Per questo, prima di recarsi dall’amante serviva tisane a base di oppio al marito, che così non si accorgeva di nulla. Fino a una sera in cui la scoprì, accusandola immediatamente di stregoneria. La cosa curiosa è che nelle accuse formulate a Caterina non si accennava all’adulterio, ma si parlava invece di una donna che si aggirava per la città strappando erbe per pozioni magiche, uccidendo animali per strappare loro il cuore e usarlo in riti esoterici, rapendo bambini per sacrifici umani. Il giorno prima dell’esecuzione, arrivò l’amnistia del cardinal legato e Caterina ebbe salva la vita. Nel 1295 vennero condotte al rogo due astrologhe bolognesi, Morba e Medina. Nel 1373, invece, Giacoma diagnosticò il malocchio a una donna da tempo ammalata, e dopo una cura a base di incenso, pelo di gatto e di asino, vetro tritato e sterco di bue, ricevette come ricompensa la condanna al pubblico castigo, prima di essere cacciata da Bologna. Nel XVIII secolo, Margherita Sarti, astrologa di professione, fu trascinata in piazza per il pubblico dileggio e flagellata dalla popolazione per ore. Le ferite la uccisero dopo quattro giorni di agonia.
Gli inquisiti bolognesi, vittime di superstizione e politica
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